Risposta a Nestor Makhno

Errico Malatesta


Caro compagno,

finalmente riesco a vedere la lettera che voi m'indirizzaste già da più di un anno, a proposito della critica ch'io feci al Progetto di organizzazione di un'Unione generale degli anarchici, pubblicato dal gruppo di anarchici russi all'estero e conosciuto nel nostro movimento col nome di "Plateforme".

Conoscendo la mia situazione, voi avevate certamente compreso perché non vi rispondevo.

Io non posso partecipare come vorrei alla discussione delle questioni che più c'interessano, perché la censura non mi fa pervenire né le pubblicazioni che essa considera sovversive, né le lettere che trattano di argomenti politico-sociali, e solo a lunghi intervalli e per casi fortunati mi giunge l'eco affievolita di quello che i compagni scrivono o fanno. Così seppi che la "Plateforme" e la critica ch'io ne feci furono molto discusse, ma ho saputo poco o nulla di quello che fu detto e la vostra lettera è il primo scritto sull'argomento che riesco a vedere.

Se potessimo corrispondere liberamente, io prima d'intavolare la discussione vi pregherei di chiarire i vostri concetti, i quali, forse anche per colpa di una imperfetta traduzione dal russo in francese, mi riescono in alcuni punti alquanto oscuri. Stando le cose come stanno, vi rispondo secondo che v'ho compreso, e mi affido alla speranza di poter poi vedere la vostra replica.

Voi siete meravigliato che io non ammetta il principio della responsabilità collettiva, il quale è da voi ritenuto un principio fondamentale che ha guidato e deve guidare i rivoluzionari passati, presenti e futuri.

Da parte mia io mi domando che cosa possa mai significare in bocca di un anarchico questa espressione di responsabilità collettiva.

Io so che tra militari si usa decimare un corpo di soldati che si è ribellato o si è mal condotto in faccia al nemico, fucilando indistintamente quelli che la sorte designa. So che i capi d'esercito non si fanno scrupolo di distruggere un villaggio o una città e massacrare tutta una popolazione, fanciulli compresi, perché qualcuno ha tentato di resistere all'invasione. So che in tutte le epoche i governi hanno in vario modo minacciato ed applicalo il sistema della responsabilità collettiva per tenere a freno i ribelli, esigere le imposte, ecc. E comprendo che questo possa essere un mezzo efficace di intimidazione e di oppressione.

Ma come si può parlare di responsabilità collettiva fra uomini che lottano per la libertà e la giustizia, e quando non si può trattare che di responsabilità morale, sia essa poi seguita o no da sanzioni materiali?!!

Se, per esempio, in uno scontro con una forza armata nemica il mio vicino si conduce da codardo, il danno può esser mio e di tutti, ma la vergogna non potrà essere che di colui che non ha avuto il coraggio di sostenere la parte che si era assunta. Se in una cospirazione un affiliato tradisce e manda in galera i suoi compagni, saranno forse i traditi responsabili del tradimento?

La "Plateforme" diceva: 

"Tutta l'Unione sarà responsabile dell'attività rivoluzionaria e politica di ogni membro e ciascun membro sarà responsabile dell'attività rivoluzionaria e politica dell'Unione".

È conciliabile questo con i principi di autonomia e di libera iniziativa che gli anarchici professano? Io già risposi:

"Se l'Unione è responsabile di quello che fa ciascuno dei suoi membri, come può lasciare ai singoli membri ed ai vari gruppi la libertà di applicare il programma comune nel modo che crede migliore? Come si può essere responsabile di un atto se non si ha la facoltà d'impedirlo? L'Unione dunque, e per essa il Comitato esecutivo dovrebbe sorvegliare l'azione dei singoli membri e prescrivere quello che debbono fare o non fare; e poiché la disapprovazione dopo il fatto non può sanare la responsabilità previamente accettata, nessuno potrebbe fare qualche cosa senza avere prima ottenuto il benestare del Comitato. E d'altra parte, può un individuo accettare la responsabilità delle azioni di una collettività prima di sapere quello che essa farà, e se non può impedire che essa faccia quello che egli disapprova?".

Certamente io ammetto e propugno che ogni uomo il quale si associa con altri per cooperare ad uno scopo comune deve sentire il dovere di coordinare le sue azioni con quelle dei suoi consoci, non far nulla che nuoccia all'opera degli altri e quindi alla causa comune e rispettare i patti convenuti - salvo ad uscire lealmente dall'associazione quando per sopravvenute differenze di opinioni, o mutate circostante, o incompatibilità tra i mezzi preferiti, la cooperazione fosse divenuta impossibile o inconveniente. Come ritengo che chi quel dovere non sentisse e non praticasse debba esser messo fuori dell'associazione.

Può darsi che voi, parlando di responsabilità collettiva, intendiate appunto l'accordo e la solidarietà che deve esistere tra i membri di un'associazione. E' se fosse così, la vostra espressione sarebbe secondo me un'improprietà di linguaggio, ma in fondo si tratterebbe solo di una questione di parole senza importanza, e l'accordo sarebbe presto raggiunto.

* * *

La questione veramente importante che voi sollevate nella vostra lettera è quella della funzione (le rôle) degli anarchici nel movimento sociale ed il modo come essi intendono compierla. Qui si tratta, del fondamento stesso, della ragion d'essere dell'anarchismo e occorre spiegarsi bene.

Voi domandate se gli anarchici debbono assumere (nel movimento rivoluzionario e nell'organizzazione comunista della società) una parte direttiva e quindi responsabile, o limitarsi ad essere degli ausiliari irresponsabili.

La vostra domanda mi lascia perplesso, perché manca di precisione. Si può dirigere col consiglio e coll'esempio, lasciando che la gente, messa nella possibilità, nella necessità di provvedere da sé ai propri bisogni, adotti in piena libertà i nostri metodi e le nostre soluzioni, se esse sono, o le sembrano, migliori di quelle proposte e praticate da altri. Ma si può dirigere anche assumendo il comando, cioè diventando governo ed imponendo a mezzo dei gendarmi le proprie idee ed i propri interessi.

In che modo vorreste voi dirigere?

Noi siamo anarchici perché crediamo che il governo (ogni governo) sia un male, e che non si possa arrivare alla libertà, alla fratellanza, alla giustizia, se non per mezzo della libertà. Quindi non possiamo aspirare a governare, e dobbiamo fare tutto il possibile per impedire che altri - classe, partito o individuo - s'impossessi del potere e diventi governo.

La responsabilità dei dirigenti, con cui mi sembra vogliate garentire il pubblico contro i loro abusi o i loro errori, non mi dice nulla che valga. Chi ha in mano il potere non è realmente responsabile che di fronte alla rivoluzione, e non si può fare tutti i giorni una rivoluzione e generalmente se ne fa una sola dopo che il governo ha già fatto tutto il male che poteva.

Voi capirete dunque ch'io son lungi dal pensare che gli anarchici debbano contentarsi di essere dei semplici ausiliari di altri rivoluzionari che, non essendo anarchici, naturalmente aspirano a diventare governo.

Io credo, al contrario, che noi, gli anarchici, convinti della bontà del nostro programma, dobbiamo sforzarci di acquistare un'influenza predominante per poter indirizzare il movimento verso l'attuazione dei nostri ideali; ma questa influenza dovremo acquistarla facendo più e meglio degli altri, e sarà utile solo se sarà così acquistata.

Noi dobbiamo, oggi, approfondire, sviluppare e propagare le nostre idee, e coordinare le nostre forze per un'azione comune. Dobbiamo agire in mezzo al movimento operaio per impedire che esso si limiti e si corrompa nella ricerca esclusiva dei piccoli miglioramenti compatibili col sistema capitalistico, e far in modo ch'esso serva di preparazione alla completa trasformazione sociale. Dobbiamo lavorare in mezzo alle masse inorganizzate e forse inorganizzabili per svegliare in essere lo spirito di rivolta ed il desiderio e la speranza di una vita libera e felice. Dobbiamo iniziare e secondare tutti i possibili movimenti che tendono ad indebolire le forze dello Stato e dei capitalisti e ad elevare il livello morale e le condizioni materiali dei lavoratori. Dobbiamo insomma prepararci e preparare, moralmente e materialmente, per l'atto rivoluzionario che deve aprire la via all'avvenire.

E domani, nella rivoluzione, dobbiamo prender parte energica (se possibile prima e meglio degli altri) nella necessaria lotta materiale e spingerla a fondo per distruggere tutte le forze repressive dello Stato ed indurre i lavoratori a prender possesso dei mezzi di produzione (terre, miniere, officine, mezzi di trasporto, ecc.) e dei prodotti già pronti, organizzare subito, da loro stessi, un'equa distribuzione dei generi di consumo, e nello stesso tempo provvedere allo scambio tra comuni e regioni ed alla continuazione ed intensificazione della produzione e di tutti i servizi utili al pubblico. Noi dobbiamo, in tutti i modi possibili e secondo le circostanze e le possibilità locali, promuovere l'azione delle associazioni operaie, delle cooperative, dei gruppi di volontari - affinché non sorgano nuovi poteri autoritari, nuovi governi, combattendoli colla forza se necessario, ma soprattutto rendendoli inutili. E quando non trovassimo nel popolo consensi sufficienti e non potessimo impedire la ricostituzione di uno Stato colle sue istituzioni autoritarie ed i suoi organi coercitivi, noi dovremmo rifiutarci a parteciparvi e a riconoscerlo, ribellarci contro le sue imposizioni e reclamare piena autonomia per noi stessi e per tutte le minoranze dissidenti. Dovremmo insomma restare in stato di ribellione effettiva o potenziale, e, non potendo vincere nel presente, preparare almeno l'avvenire.

È così che intendete anche voi la parte degli anarchici nella preparazione e nell'attuazione della rivoluzione?

Da quello che so di voi e dell'opera vostra sono inclinato a credere di sì.

Però, quando vedo che nell'unione che voi preconizzate vi è un Comitato esecutivo il quale dovrebbe "dirigere ideologicamente ed organizzativamente" l'associazione, mi viene il dubbio che voi vorreste anche nel movimento generale un organo centrale, il quale dettasse autoritariamente il programma teorico e pratico della rivoluzione.

In questo caso saremmo lontani assai.

Il vostro organo, o i vostri organi dirigenti, malgrado fossero composti di anarchici, non potrebbero non diventare un governo vero e proprio. Essi, credendosi, in completa buona fede, necessari al trionfo della rivoluzione, vorrebbero innanzi tutto assicurarsi l'esistenza e la forza per imporre la loro volontà: creerebbero perciò dei corpi armati per esser difesi materialmente ed una burocrazia per attuare i loro dommi, e con ciò paralizzerebbero il momento popolare ed ucciderebbero la rivoluzione.

È quello, io credo, che è accaduto ai bolscevichi.

Ecco, io credo che l'importante non sia il trionfo dei nostri piani, dei nostri progetti, delle nostre utopie, le quali del resto hanno bisogno della conferma dell'esperienza e possono essere dall'esperienza modificate, sviluppate ed adattate alle reali condizioni morali e materiali dell'epoca e del luogo. Ciò che più importa è che il popolo, gli uomini tutti perdano gl'istinti e le abitudini pecorili, che la millenaria schiavitù ha loro inspirate, ad apprendano a pensare ed agire liberamente. Ed è a questa grande opera di liberazione morale che gli anarchici debbono specialmente dedicarsi.

Vi ringrazio dell'attenzione che avete voluto prestare ad un mio scritto, e nella speranza di leggervi ancora, vi saluto cordialmente.

Novembre 1929

E. Malatesta

[lettera pubblicata ne Il Risveglio, 4 dicembre 1929]


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